Mattia Sedda

 Villacidro - A tu per tu con l'autore di "Choin: uno spettacolo altamente professionale"

Mattia Sedda, villacidrese, classe 1991, vive a Londra da dieci anni e ha da poco portato in scena anche in Italia, a Cagliari, il suo spettacolo comico Choin: uno spettacolo altamente professionale.


Cosa racconta Choin, lo spettacolo che ha proposto in Sardegna?

«In Sardegna, ho portato il mio primo spettacolo comico, dopo averlo proposto in giro a Londra e per un mese, ininterrottamente, all'Edinburgh Fringe Festival. Il protagonista è un immigrato sardo che sogna di diventare un attore professionista nel Regno Unito. Dopo anni di formazione come attore e provini senza ottenere ruoli significativi, decide di creare Choin: uno spettacolo altamente professionale, dove esibirà tutti i suoi talenti attoriali per dimostrare il suo valore. Il risultato è uno spettacolo clownesco surreale e demenziale, che mescola umorismo assurdo con un desiderio di significato e una profonda nostalgia di casa. Lo spettacolo riflette la mia esperienza di attore: mi sono reso conto, negli anni, che più mi sforzavo di essere un attore drammatico, più la gente rideva. Quindi in questo spettacolo celebro i miei fallimenti e lo faccio con grande gioia. E si ride un sacco».

Come vive un Sardo a Londra?

«Londra e la Sardegna non potrebbero essere più agli antipodi. Col tempo, ci si rende conto che la Sardegna ha tantissimo a che fare con il Nord Africa e con il Medio Oriente, come insegnano i libri di storia ma qualche politico cerca di fare dimenticare. Londra è un posto incredibile per imparare qualsiasi cosa venga in mente, e fare qualsiasi lavoro si desideri, a tutte le età. Partecipare agli eventi più disparati, in una comunità internazionale bellissima, ma è anche un mondo comandato dai soldi, dove l'unica cosa che conta è fatturare. È una città poco amata dai propri cittadini perché vista solo come un trampolino di lancio verso un’ambizione economica o di carriera, una città dove scambiarsi uno sguardo è quasi reato e un’interazione sociale con uno sconosciuto così rara che sembra illegale (anche per uno che parla con tutti come me), una città intrappolata in una rigida divisione sociale causata da un sistema liberista che ha creato una divisione enorme tra miliardari e poveracci, e da una mentalità poco curiosa. E me lo spiego cosi: siamo entrambi isolani, ma noi sardi abbiamo sviluppato un senso di inferiorità, forse perché siamo stati invasi da tutti, mentre gli inglesi un senso di superiorità, forse perché hanno invaso tutti. In Sardegna girano meno soldi, ci sono meno persone, risorse e infrastrutture, ma penso che la gente sia più felice nella semplicità».

Dove nasce la sua passione per il teatro?

«Da una semplice curiosità, risale a quando ventenne ero all'università a Firenze e stavo cercando di capire cosa avrei fatto della mia vita. Cosi provai a sperimentare tutte le cose che mi incuriosivano. Nel mondo c'era la crisi scatenata dal crollo del gigante bancario Lehman Brothers, in Italia Berlusconi era al governo e non si riusciva a trovare un lavoro alla cassa in un supermercato neanche con una specialistica. Tutti in quegli anni  si buttarono così a coltivare le proprie passioni: il teatro fu per me una di quelle, da sempre mi attraeva ma non ci ero mai stato effettivamente. Una volta entrato, non volevo più andarmene, così circondato da amici, giochi, conversazioni: un colpo di fulmine insomma».


Nel 2024 secondo lei che pubblico attira il teatro?

«Purtroppo oggi il teatro sembra un’esclusiva di certe classi sociali, che ci va per fare credere ai vicini di casa di essere intellettuali. In Italia c'è anche un problema di età, con i giovani che si sentono esclusi. Forse a causa di tanti teatranti e artisti che negli anni sono stati molto autoreferenziali. Shakespeare, per esempio, scriveva testi per persone ignoranti e ubriachi, i suoi protagonisti si ammazzano e rischiano la vita per potere, sesso, vendetta, e a volte anche amore. Però si va a vedere uno Shakespeare, e gli spettatori pensano di non avere potuto apprezzare perché sono ignoranti: se dici che ti sei annoiato guardandolo passi per un ignorante che non apprezza la letteratura. In realtà hai solo visto uno spettacolo brutto e noioso e nessuno vuole ammetterlo. Dobbiamo assumerci la responsabilità di comunicare in modo comprensibile con coloro a cui ci rivolgiamo e intratteniamo. Se sto su un palco, il pubblico deve essere testimone di qualcosa che sta succedendo ora, ed è irripetibile, non per far vedere quanto sono intelligente o quanto sia politicamente virtuoso. Se riesco a immaginare che Romeo stia veramente rischiando la vita per poter stare con Giulietta, mi verrà qualche emozione, no? Come siamo riusciti a farlo diventare un blabla? Gli spettacoli sono per il pubblico e non per l'ego di chi li interpreta, cosa che le serie Tv per esempio hanno capito bene, e a teatro molti di noi ci siamo arrivati. Ora si tratta di convincere il grande pubblico che anche noi siamo cambiati».

Cosa si sente di consigliare ai giovani che vogliono intraprendere questa carriera?

«Io sono parte di questa generazione, quindi non posso consigliare nulla. Si lavora assieme. La nostra generazione è una generazione stupenda, che sta distruggendo molti costrutti sociali. Stiamo combattendo molte battaglie, contro il razzismo, il patriarcato, l'omofobia, la transfobia, le grandi compagnie internazionali, la distruzione climatica che sta avvenendo di fronte ai nostri occhi, e tante altre. Stiamo anche perdendo però una biodiversità culturale allo stesso tempo, e siamo distratti da cosi tanti oggettini che penso il rischio sia perdere di vista cos'è essenziale nella vita, e come esserne contenti, mentre nelle città è tutto un rincorrere ambizioni e soldi, che in fondo danno nulla alle nostre vite. Dobbiamo essere intelligenti, imparare le cose buone del passato scartandone quelle cattive e non fare di tutta l'erba un fascio. E forse qui ci prendiamo troppo sul serio. Potremmo, dovremmo ridere di più. Ma questi sono più auguri, desideri, che consigli».

Valentina Vinci (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) © Riproduzione riservata

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